sabato 12 settembre 2015

Appunti per il discorso di Rosh Hashanà ( Capodanno) 5726 (1965) Livorno - Rav Bruno G. Polacco (z.l.)

(CITAZIONE IN EBRAICO)
“TUTTO CIO’ CHE IL PIETOSO FA,LO FA A FIN DI BENE”
Fermamente convinti che in ogni azione divina sia insito un fine benefico,all’atto di chiudere il bilancio consuntivo degli avvenimenti che hanno caratterizzato la nostra vita nel corso dell’anno che con oggi ha termine,siano le risultanze di questo bilancio felicemente positive o dolorosamente passive, dal nostro animo reso sereno dalla pace che infonde la preghiera, sgorga  sincero e fervido un ringraziamento all’Eterno (testo in ebraico) :
“Sia benedetto il Misericordioso che ci ha sostenuto e ci ha fatto giungere fino a questo giorno!”
Come però avviene ogni qualvolta  celebriamo questa ricorrenza dedicata alla meditazione interiore e alla “teshuvà” (in ebraico) = al ritorno a Dio e alla osservanza della Sua Legge, al nostro pensiero non si presenta soltanto la visione retrospettiva del passato recente.
Col sorgere di un nuovo anno, alla nostra mente s’affacciano nuove speranze e nuove ansie, si delineano nuovi problemi  e nuove responsabilità, si profilano nuovi impegni morali e materiali  che investono tutti i campi della nostra vita, per cui il nostro animo come si sente stimolato ad esternare a Dio la sua riconoscenza per il passato, così prova il bisogno irrefrenabile di invocarne l’aiuto per l’avvenire.
Perciò, consci (testo in ebraico) “che quando Israele si sottomette al volere del Padre Suo che è nei cieli e a Lui guarda con fiducia, viene sicuramente esaudito”, al momento di affrontare la sorte che ci è riservata  nell’anno che sorge, annullando a priori la nostra volontà  di fronte alla Sua e rimettendoci alla Sua benevolenza,umilmente imploriamo (testo in ebraico) :” Dinanzi a te p Signore, che ti fai precedere dalla più genuina pietà, ci presentiamo per implorare grazia; fa si che non rimaniamo confusi ; fa si che da Te non torniamo inesauditi!”
Siamo certi, perché nel corso di quasi 6 millenni di storia innumerevoli volte abbiamo esperimentato la longanimità di Dio,che anche questo appello di aiuto che Gli rivolgiamo non rimarrà inascoltato, giusto com’p detto (testo ebraico) :
“ l’invocazione degli umili tu ascolti o Signore! ”
Felice colui il cui animo è aperto e sensibile al richiamo della santità e della solennità di questo giorno e frequenta questo sacro luogo non tanto per compiere un inutile atto di rappresentanza, quanto per concorrere, con perfetta aderenza spirituale, alla valorizzazione della preghiera e, in pari tempo, per apportare il suo personale tributo di rispetto alla maestà di Dio.
Felice colui , che conscio  del suo dovere che è quello, per usare un modo di dire tipico dei nostri venerati Maestri,(testo in ebraico) = “di venire a far visita al Padre suo che è nei cieli” : nel caso nostro,qui,in questo Tempio, dove, unitamente ai suoi fratelli di fede, aprirà una affettuosa conversazione col suo Creatore, durante la quale, con la confidenza che ha un figlio col proprio padre, gli esporrà i suoi più assillanti problemi, le sue più profonde preoccupazioni, i suoi più cocenti dolori e,infine,la speranza – anche se sa bene di non avere grandi meriti al suo attivo – di essere amorevolmente sostenuto ed aiutato.
Ma da dove proviene al comune mortale questa dimestichezza con Dio, che gli consente di trattare con Lui con semplicità e immediatezza? Che gli permette – cosa difficilmente ottenibile su questa terra anche da un semplice funzionario munito di commenda ! – di ottenere dal suo Creatore, dal Giudice supremo di tutte le cose create, udienza immediata?
La risposta è semplice. Un mezzo che è alla portata di tutti , ricchi e poveri, il contatto continuo, giornaliero , che stabilisce tra Dio e l’uomo legami di affetto indissolubili ed edificanti; e, soprattutto,la piena fiducia di quest’ultimo  nell’aiuto divino.
Si domanda nella (ebraico) Ghemarà: “Per qual motivo , durante i 40 anni  che gli ebrei vissero nel deserto,la manna veniva fornita loro di giorno in giorno e non periodicamente in grandi quantitativi?”
Si risponde: “ perché ognuno di essi fosse  obbligato a pensare, se domani la manna non cadrà, come farò ad alimentare  la mia famiglia?”
In tal modo il loro pensiero era costantemente rivolto a Dio che, nel procurare giornalmente ai suoi figli il cibo necessario per vivere, si rivelava per essi un padre sollecito.
E si aggiunge,per meglio chiarire il concetto: “Il caso in oggetto, a che cosa è comparabile? E’ comparabile a quello di un Re che avendo stabilito di dare al suo figliolo una somma annua, s’accorge che questi gli fa visita una sola volta all’anno. Cosa fa allora questo Re? Sostituisce all’appannaggio annuo la somministrazione giornaliera degli alimenti e il figlio,da allora, gli fa visita ogni giorno”.
Questa parabola, che i talmudisti narrarono agli uditori che affollavano le scuole rabbiniche dei loro tempi e chiedevano di apprendere in modo accessibile al loro grado di cultura la parola di Dio, dietro un aspetto semplice e ingenuo,cela un insegnamento che se era valido allora per gli ebrei di allora, a maggior ragione è valido per noi ebrei di oggi.
Un ammaestramento che in questo giorno di (ebraico) Rosh Hashanà , giorno in cui le nostre azioni e i nostri pensieri vengono oculatamente valutati, deve penetrare nel nostro cuore e trovare posto stabilmente nella nostra mente.
E’ tendenza di noi poveri umani, perché troppo abbarbicati alle vicende terrene ed eccessivamente protesi al conseguimento di quegli obbiettivi materiali sui quali imperniamo la nostra esistenza,ad ignorare quasi totalmente la vita dello spirito; ad essa dedichiamo  qualche piccola frazione del nostro prezioso tempo e della nostra distratta attenzione, in circostanze rigorosamente stabilite nel tempo : primo giorno di Pesach, primo giorno di Rosh Hashanà e Chippur. Ogni altra occasione per “far visita a Dio” e dare alla vita dello spirito quello svolgimento e quello sviluppo che le compete, è da noi, ormai per inveterata abitudine,ignorata.
Stolto e controproducente modo di agire!
L’andamento positivo dei nostri affari, dei nostri rapporti famigliari e sociali, come la razione giornaliera di manna dei nostri avi del deserto, è l’alimento che il Padre nostro che è nei cieli ci somministra, con incessante generosità, di giorno in giorno.
E noi che ne beneficiamo minuto per minuto, non solo dimentichiamo che ci viene da Lui, ma addirittura ,lo attribuiamo alla nostra intelligenza, alle nostre capacità, alla nostra abilità e via dicendo!
Non dovremmo forse esserGli  riconoscenti creando con Lui rapporti più stretti e frequenti, non limitati, - eccezion fatta per qualche triste occasione, Dio ci scampi- alle tre volte suddette?
Fratelli, il fatto che in questo giorno in cui non soltanto verso Iddio, ma anche verso il Prossimo l’animo nostro deve rivolgersi con comprensione, dedizione e benevolenza, io abbia deliberatamente richiamato alla vostra attenzione la necessità che la Casa di Dio e del Popolo di Dio,debba essere, come deve essere, il posto in cui si reca spontaneamente e frequentemente ogni ebreo, non deve suonare al vostro orecchio come un rimprovero.
(Ebraico) “Non giudicare il tuo prossimo finché tu non ti trovi al suo posto”, dice il (ebraico) Pirkè Avoth, ed io mi guardo bene  dall’arrogarmi il diritto di giudicare chiunque sia : ho voluto soltanto far notare, fraternamente, che non è giusto agire così verso Dio, ammonire che è doveroso accostarGlisi il più spesso possibile e sollecitare ad amarlo come Lui ci ama,malgrado le nostre debolezze e i nostri errori.

Confido che questo appello sarà udito ed esaudito; confido che con oggi inizieremo la non ardua via del nostro ritorno a Dio, e poiché come dice il Re salmista (ebraico) “l’Eterno si mostra benevolo verso ognuno e la Sua clemenza si estende su tutte le sue opere”, sono certo che Egli ci accoglierà a braccia aperte ; esaudirà le nostre richieste e concederà la Sua più ampia benedizione a noi e alle nostre famiglie.