(CITAZIONE IN EBRAICO)
“TUTTO CIO’ CHE IL
PIETOSO FA,LO FA A FIN DI BENE”
Fermamente
convinti che in ogni azione divina sia insito un fine benefico,all’atto di
chiudere il bilancio consuntivo degli avvenimenti che hanno caratterizzato la
nostra vita nel corso dell’anno che con oggi ha termine,siano le risultanze di
questo bilancio felicemente positive o dolorosamente passive, dal nostro animo
reso sereno dalla pace che infonde la preghiera, sgorga sincero e fervido un ringraziamento
all’Eterno (testo in ebraico) :
“Sia
benedetto il Misericordioso che ci ha sostenuto e ci ha fatto giungere fino a
questo giorno!”
Come
però avviene ogni qualvolta celebriamo
questa ricorrenza dedicata alla meditazione interiore e alla “teshuvà” (in
ebraico) = al ritorno a Dio e alla osservanza della Sua Legge, al nostro
pensiero non si presenta soltanto la visione retrospettiva del passato recente.
Col
sorgere di un nuovo anno, alla nostra mente s’affacciano nuove speranze e nuove
ansie, si delineano nuovi problemi e
nuove responsabilità, si profilano nuovi impegni morali e materiali che investono tutti i campi della nostra
vita, per cui il nostro animo come si sente stimolato ad esternare a Dio la sua
riconoscenza per il passato, così prova il bisogno irrefrenabile di invocarne
l’aiuto per l’avvenire.
Perciò,
consci (testo in ebraico) “che quando Israele si sottomette al volere del Padre
Suo che è nei cieli e a Lui guarda con fiducia, viene sicuramente esaudito”, al
momento di affrontare la sorte che ci è riservata nell’anno che sorge, annullando a priori la
nostra volontà di fronte alla Sua e rimettendoci
alla Sua benevolenza,umilmente imploriamo (testo in ebraico) :” Dinanzi a te p
Signore, che ti fai precedere dalla più genuina pietà, ci presentiamo per
implorare grazia; fa si che non rimaniamo confusi ; fa si che da Te non
torniamo inesauditi!”
Siamo
certi, perché nel corso di quasi 6 millenni di storia innumerevoli volte
abbiamo esperimentato la longanimità di Dio,che anche questo appello di aiuto
che Gli rivolgiamo non rimarrà inascoltato, giusto com’p detto (testo ebraico)
:
“
l’invocazione degli umili tu ascolti o Signore! ”
Felice
colui il cui animo è aperto e sensibile al richiamo della santità e della
solennità di questo giorno e frequenta questo sacro luogo non tanto per
compiere un inutile atto di rappresentanza, quanto per concorrere, con perfetta
aderenza spirituale, alla valorizzazione della preghiera e, in pari tempo, per
apportare il suo personale tributo di rispetto alla maestà di Dio.
Felice
colui , che conscio del suo dovere che è
quello, per usare un modo di dire tipico dei nostri venerati Maestri,(testo in
ebraico) = “di venire a far visita al Padre suo che è nei cieli” : nel caso
nostro,qui,in questo Tempio, dove, unitamente ai suoi fratelli di fede, aprirà
una affettuosa conversazione col suo Creatore, durante la quale, con la
confidenza che ha un figlio col proprio padre, gli esporrà i suoi più
assillanti problemi, le sue più profonde preoccupazioni, i suoi più cocenti
dolori e,infine,la speranza – anche se sa bene di non avere grandi meriti al
suo attivo – di essere amorevolmente sostenuto ed aiutato.
Ma
da dove proviene al comune mortale questa dimestichezza con Dio, che gli
consente di trattare con Lui con semplicità e immediatezza? Che gli permette –
cosa difficilmente ottenibile su questa terra anche da un semplice funzionario
munito di commenda ! – di ottenere dal suo Creatore, dal Giudice supremo di
tutte le cose create, udienza immediata?
La
risposta è semplice. Un mezzo che è alla portata di tutti , ricchi e poveri, il
contatto continuo, giornaliero , che stabilisce tra Dio e l’uomo legami di
affetto indissolubili ed edificanti; e, soprattutto,la piena fiducia di
quest’ultimo nell’aiuto divino.
Si
domanda nella (ebraico) Ghemarà: “Per qual motivo , durante i 40 anni che gli ebrei vissero nel deserto,la manna
veniva fornita loro di giorno in giorno e non periodicamente in grandi
quantitativi?”
Si
risponde: “ perché ognuno di essi fosse
obbligato a pensare, se domani la manna non cadrà, come farò ad
alimentare la mia famiglia?”
In
tal modo il loro pensiero era costantemente rivolto a Dio che, nel procurare
giornalmente ai suoi figli il cibo necessario per vivere, si rivelava per essi
un padre sollecito.
E
si aggiunge,per meglio chiarire il concetto: “Il caso in oggetto, a che cosa è
comparabile? E’ comparabile a quello di un Re che avendo stabilito di dare al
suo figliolo una somma annua, s’accorge che questi gli fa visita una sola volta
all’anno. Cosa fa allora questo Re? Sostituisce all’appannaggio annuo la
somministrazione giornaliera degli alimenti e il figlio,da allora, gli fa
visita ogni giorno”.
Questa
parabola, che i talmudisti narrarono agli uditori che affollavano le scuole
rabbiniche dei loro tempi e chiedevano di apprendere in modo accessibile al
loro grado di cultura la parola di Dio, dietro un aspetto semplice e
ingenuo,cela un insegnamento che se era valido allora per gli ebrei di allora,
a maggior ragione è valido per noi ebrei di oggi.
Un
ammaestramento che in questo giorno di (ebraico) Rosh Hashanà , giorno in cui
le nostre azioni e i nostri pensieri vengono oculatamente valutati, deve
penetrare nel nostro cuore e trovare posto stabilmente nella nostra mente.
E’
tendenza di noi poveri umani, perché troppo abbarbicati alle vicende terrene ed
eccessivamente protesi al conseguimento di quegli obbiettivi materiali sui
quali imperniamo la nostra esistenza,ad ignorare quasi totalmente la vita dello
spirito; ad essa dedichiamo qualche
piccola frazione del nostro prezioso tempo e della nostra distratta attenzione,
in circostanze rigorosamente stabilite nel tempo : primo giorno di Pesach,
primo giorno di Rosh Hashanà e Chippur. Ogni altra occasione per “far visita a
Dio” e dare alla vita dello spirito quello svolgimento e quello sviluppo che le
compete, è da noi, ormai per inveterata abitudine,ignorata.
Stolto
e controproducente modo di agire!
L’andamento
positivo dei nostri affari, dei nostri rapporti famigliari e sociali, come la
razione giornaliera di manna dei nostri avi del deserto, è l’alimento che il
Padre nostro che è nei cieli ci somministra, con incessante generosità, di
giorno in giorno.
E
noi che ne beneficiamo minuto per minuto, non solo dimentichiamo che ci viene
da Lui, ma addirittura ,lo attribuiamo alla nostra intelligenza, alle nostre
capacità, alla nostra abilità e via dicendo!
Non
dovremmo forse esserGli riconoscenti
creando con Lui rapporti più stretti e frequenti, non limitati, - eccezion
fatta per qualche triste occasione, Dio ci scampi- alle tre volte suddette?
Fratelli,
il fatto che in questo giorno in cui non soltanto verso Iddio, ma anche verso
il Prossimo l’animo nostro deve rivolgersi con comprensione, dedizione e
benevolenza, io abbia deliberatamente richiamato alla vostra attenzione la
necessità che la Casa di Dio e del Popolo di Dio,debba essere, come deve
essere, il posto in cui si reca spontaneamente e frequentemente ogni ebreo, non
deve suonare al vostro orecchio come un rimprovero.
(Ebraico)
“Non giudicare il tuo prossimo finché tu non ti trovi al suo posto”, dice il
(ebraico) Pirkè Avoth, ed io mi guardo bene
dall’arrogarmi il diritto di giudicare chiunque sia : ho voluto soltanto
far notare, fraternamente, che non è giusto agire così verso Dio, ammonire che
è doveroso accostarGlisi il più spesso possibile e sollecitare ad amarlo come
Lui ci ama,malgrado le nostre debolezze e i nostri errori.