Samuele Colombo
Conferenza per la serata di studio
Rabbini di Firenze e Livorno, per il ciclo Rabbini italiani del
Novecento, Centro bibliografico UCEI, Roma, 29 ottobre 2017.
Desidero
dedicare questo intervento alla memoria di mio padre, rav Achille
Shimon Viterbo, scomparso otto mesi fa, anche lui un rabbino del
Novecento, per oltre quarantʼanni alla guida della Comunità di
Padova. Fu il mio primo maestro, di ebraismo e del resto, per mezzo
Suo conobbi la figura del bisnonno Colombo e da Lui ne ricevetti le
poche carte rimaste. Attraverso le parole di papà, rav Samuele
Colombo, suo figlio Yoseph, la suggestione di Pitigliano, le glorie
di Livorno, pagine intere di storia, sono diventati parte di me e
della mia esperienza. Sia la Sua memoria di benedizione per tutti.
Era fin dalla nascita, o quasi, leggermente zoppicante; piccolo di
statura e un po’ miope; ma non portava occhiali altro che quando,
al tempio, doveva ufficiare.
Era di carattere molte dolce e remissivo, divideva la sua giornata
tra il tempio, la scuola e la Sua casa ove studiava sempre, specie la
sera fino a tarda ora.
In
queste poche righe il figlio Yoseph condensò la figura di rav
Samuele Colombo in un quaderno di memorie familiari. Una figura che
appare modesta, dimessa, assai diversa da quelle dei rabbini che lo
precedettero, lo affiancarono, vennero dopo di lui. Basta vedere il
suo ritratto, sulla locandina della serata di oggi: giovane timido
fra la maestosità di Margulies e la scienza di Toaff. Ed è
questa,per quanto ho potuto appurare fin qui, la sua unica fotografia
conosciuta. E su questo spero vivamente di essere smentito questa
sera stessa. Ci manca insomma una sua immagine da rabbino, e non
soltanto unʼimmagine fotografica ma anche e soprattutto la sua
immagine storica. Eppure non mancano gli elementi che lo rendono un
personaggio di un certo spessore. Fu discepolo, al Collegio Rabbinico
di Livorno, di Elia Benamozegh ed Israel Costa. Li affiancò poi
nella Commissione rabbinica della Comunità e dopo la loro scomparsa
fu il loro successore, sia sulla cattedra rabbinica che alla
direzione del Collegio. Fu il primo presidente della Federazione
Rabbinica Italiana, lʼorgano rappresentativo dei rabbini italiani.
Fu, come Benamozegh, fertile autore di articoli e saggi, seppure di
minore ampiezza e originalità di quelli del maestro, e come lui fu
abile predicatore. Operò come Rabbino capo di una delle principali
comunità italiane nel primo quarto del ventesimo secolo, un periodo
che vide lʼebraismo italiano di fronte alle lusinghe
dellʼassimilazione, alla tragedia della prima guerra mondiale, al
richiamo del sionismo, al confronto con il modernismo, al mutamento
della condizione femminile. E su tutti questi fronti, Colombo agì,
lasciandoci testimonianza, negli scritti e nelle azioni, di una
visione dellʼebraismo saldamente agganciata alla tradizione e pur
tuttavia coraggiosamente aperta al mutare dei tempi.
Samuele
Colombo nacque il 17 gennaio 1868 a Pitigliano, figlio di David, che
faceva il calzolaio e di Fortunata Coen, che morì nel darlo alla
luce. La famiglia era di origine sefardita. [Il cognome Colombo è la
traduzione dellʼebraico Yonà,
cognome che Samuele stesso usò a volte firmandosi in ebraico]. Dal
censimento del 1841 impariamo che i Colombo erano a Pitigliano da
alcune generazioni. Il
padre di Samuele era il quinto di sei figli. Lʼomonimo nonno compare
nel censimento come aiuto rabbino e in generale la famiglia Colombo
pare essere stata di modeste condizioni economiche. Samuele, il
futuro rabbino di Livorno, aveva una sorella maggiore, Rachele.
Dopo
pochi anni dalla morte della moglie, David Colombo si trasferì
insieme ai figli a Livorno. Qui Samuele venne avviato agli studi
rabbinici, grazie allʼintuito di uno dei suoi maestri elementari,
Guglielmo Lattes (fratellastro di Dante), il quale ricorda nel suo
Memorie di un insegnante: ".....il
rabbino Samuele Colombo ...quando il padre suo calzolaio, voleva
porlo al mestiere, io lo dissuasi presentando la bella riuscita del
giovinetto negli studi sacri, per la quale può dirsi uno dei
migliori allievi di Elia Benamozegh"
Sottratto alla bottega, studiò in quel Collegio rabbinico, che
continuava il Talmud Torà, il precedente istituto di studi ebraici.
Come detto, i suoi maestri furono i rabbini Costa e Benamozegh, alle
figure dei quali manca il tempo oggi di accennare anche solo in
breve. [Basterà dire che se del secondo gli anni più recenti hanno
visto un grande fiorire di studi e di ristampe di opere, di Israel
Costa invece sappiamo ancora troppo poco sebbene anche la sua figura
di rabbino dalle posizioni spesso diverse da quelle dei colleghi, di
traduttore dallʼebraico, di poeta, di editore, merita senzʼaltro
altrettanta attenzione.] Colombo si legò molto ai suoi maestri e su
questo tornerò più avanti.
Già dal 1890, raggiunto il titolo di Maskil, primo titolo degli
studi rabbinici cominciò ad insegnare nel Collegio, servendosi dei
testi manoscritti di Benamozegh.
Il
nove di Av del 1891, prima ancora di ricevere la laura rabbinica,
Colombo diede una conferenza sul Nahamù, lʼaftarà che si legge il
sabato dopo il digiuno. È la prima sua performance
oratoria, perlomeno la prima della quale ho potuto trovare traccia
sulla stampa ebraica dellʼepoca.
Nel
1892 vinse il Concorso Belimbau, destinato ai giovani maskilim
livornesi, dal tema, assai attuale, se e come si possa regolarizzare
colle norme della nostra legge matrimoniale lo stato della donna a
cui per sentenza di Tribunale sia concesso il divorzio dal marito
opponente e alla quale il marito stesso rifiutasse, come certo
rifiutare lo può, il divorzio religioso. La risposta, positiva, al
quesito la diede con unʼarticolato saggio, pubblicato nel 1895 col
titolo Una questione di divorzio
secondo il diritto ebraico.
Nel
1893 conseguì la Laurea rabbinica e tre anni più tardi quella in
lettere allʼuniversità di Pisa, con una tesi dal titolo La
vita futura nella fantasia e nelle credenze degli antichi ebrei.
Lo
stesso anno si sposò con Clelia Luzzatti, di dieci anni più
anziana, conosciuta a Pisa nella casa del padre, dove Colombo
alloggiò da studente. La coppia avrà due figli, Yoseph,
mio nonno, anche
lui figura di spicco dellʼebraismo italiano ed Eugenio, noto
avvocato livornese.
Sempre nel 1896 fu aggregato alla Commissione Rabbinica della
Comunità, insieme a Costa e Benamozegh. Livorno era ormai da secoli
guidata da una terna rabbinica: questa sarà lʼultima. Infatti con
la scomparsa di Costa nel 1897 e di Benamozegh nel 1900, Colombo si
ritrovò da solo alla guida della Comunità. Non è chiaro per quale
motivo non si continuò con la Commissione, la scelta fu
probabilmente motivata dal calo demografico della Comunità. La
Comunità indisse un concorso per il posto di Rabbino Maggiore e dopo
qualche mese venne scelto Colombo
Lʼinsediamento
fu il 19 dicembre 1900, sabato di Chanuchà: nel discorso pronunciato
al Tempio, dopo aver espresso lʼincertezza provata nel decidere se
accettare o no la chiamata allʼimpegnativo compito e aver invitato i
membri della comunità alla collaborazione per il successo della sua
opera, ricordò coloro che lo avevano preceduto sul seggio rabbinico
e che lui stesso aveva affiancato per pochi anni: "Haham
Costa, più che maestro, amico e protettore mio, più che Rabbino
padre della sua
Comunità" e
"l'indimenticabile maestro e
amico mio Elia Benamozegh degno
e grande rappresentante delle generazioni passate … con Lui spariva
un mondo intero .. a Lui sono debitore delle sue alte e profonde
vedute in Religione e a Lui, alle sue opere, ai suoi insegnamenti, al
suo conversare, al suo esempio e alla sua vita studiosa e intenta al
suo ideale,… io riferisco tutto il merito della mia profonda
convinzione che si possa in Religione credere e ragionare insieme,
che fede e ragione lungi dallʼescludersi e negarsi a vicenda si
concilino e si sposino in mirabile connubio"
Ho scelto di citare questo passo perché rappresentativo di una delle
idee centrali nel magistero di Colombo, appunto lʼarmonia tra fede e
ragione, tra religione e scienza.
Ma quali erano i compiti di un rabbino capo di una comunità come
Livorno, che contava più di tremila membri ed era fra le maggiori
comunità italiane? Lʼinsegnamento, innanzittutto, nei vari corsi
del Collegio rabbinico; la supervisione delle altre scuole
comunitarie, il controllo delle attività rituali fornite dalla
Comunità (il Tempio, il cimitero, la shechità), la disponibilità a
rispondere alle domande di halachà, la cura dei poveri, delle
vedove, dei malati, degli orfani. E poi, e su questo tornerò in
maggior dettaglio più avanti, la predicazione al tempio, i discorsi,
lʼinsegnamento per mezzo di conferenze.
La vita di Colombo scorse abbastanza tranquilla. Rimase sulla
cattedra livornese fino alla morte prematura, anche se ci fu un
momento in cui quasi divenne rabbino capo di Roma. Difatti, prima di
morire nel 1911, rav Vittorio Castiglioni lo aveva designato a suo
successore ma poi venne scelto rav Angelo Sacerdoti.
Fra le sue prime iniziative come Rabbino Maggiore ci fu, nel 1903, e
quindi in netto ritardo rispetto ad altre comunità italiane,
lʼistituzione del bat-mizwà, attuando quello che era già stato un
progetto di Benamozegh.
Nel
1906 prendeva lʼiniziativa di promuovere la pubblicazione de Israel
et l’Humanité,
libro inedito di Benamozegh. Dopo
un lungo travaglio editoriale, il libro sarà pubblicato nel 1914 a
cura di Aime Palliere, discepolo cristiano del Benamozegh, affiancato
da Colombo, che revisionò le citazioni da testi ebraici, aggiunse
note esplicative e soprattutto fu lʼinstancabile promotore della
pubblicazione, riuscendo a raccogliere le adesioni necessarie a
finanziare il lavoro.
Per
quanto di carattere dolce e remissivo
come lo descrisse il figlio, Colombo ebbe alcune polemiche e vicende
pubbliche che ne misero in luce le capacità retoriche e
organizzative.
Nel 1907-8 discusse con rav Vittorio Castiglioni, allora rabbino capo
di Roma, a suon di articoli sui giornali ebraici, la liceità o meno
della cremazione dei cadaveri, negandola con estremo vigore.
Degli
anni 1911-1912 fu una polemica con Alfonso Pacifici, a seguito della
relazione di quest'ultimo al primo convegno giovanile a Firenze, in
cui affermò la tesi che "l'ebraismo
non è una religione". Colombo gli
replicò sulle pagine della Settimana Israelitica, sostenendo con
vigore la sua convinzione che lʼebraismo si dovesse definire
senzʼaltro religione, occorrendo se mai intendersi sul significato
del termine. La polemica continuò per qualche numero del giornale,
passando quindi sul piano di uno scambio epistolare fra i due.
Degna
di nota, ancora nel 1912, la causa giudiziaria che lo portò a dover
difendere il suo operato alla Pretura di Livorno, causa che ebbe non
poca eco sulla stampa locale ed ebraica. Ma su essa sentiremo dopo di
me Gisèle Lévy.
La
prima guerra mondiale costituì anche per lui una non facile prova.
In veste di rabbino riceveva le lettere da fronte annuncianti la
caduta di soldati ebrei, le prediche dal pulpito del tempio
risuonavano di dolore per il tanto sangue sparso e allo stesso tempo
di orgoglio per lʼeroismo della nazione in guerra.
Di
quegli anni sono due preghiere bilingue scritte da Colombo, una prima
e una dopo lʼingresso in guerra dellʼItalia .
Il
periodo bellico segnò anche un momento importante nella sua vita
pubblica, al di fuori della comunità livornese. Nel 1916 fu fra i
promotori della Federazione Rabbinica Italiana, insieme ad Angelo
Sacerdoti di Roma, Shemuel Zvi Margulies di Firenze, Dario Disegni
allora a Verona, e Alessandro Da Fano di Milano. La prima assemblea
della Federazione si riunì a Bologna nel giugno del 1917 e alla fine
dei lavori Colombo ne venne eletto presidente. Gli
obbiettivi della nuova organizzazione, la prima che riuniva i rabbini
italiani, non erano solo spirituali ma anche rappresentativi dei
diritti dellʼebraismo presso il governo. Di qui scaturì una
situazione conflittuale con il neonato Comitato delle Comunità
Israelitiche, guidato da Angelo Sereni, Leone Ravenna e Anselmo
Colombo, cugino questʼultimo di Samuele.
La sua presidenza continuò fino al settembre 1919, quando raggiunto
ormai lʼaccordo col Comitato, la Federazione poteva dirsi
ufficialmente riconosciuta. Colombo lasciò definitivamente la
presidenza e pure il consiglio. In seguito il Consorzio delle
Comunità lo nominò membro della Commissione rabbinica consultiva,
insieme a Sacerdoti e Da Fano.
Qualche parola in più sullʼattività oratoria di Colombo, sulla
quale ho concentrato ultimamente i miei sforzi, non solo perchè fra
le sue poche carte rimaste in famiglia, vi sono circa settanta suoi
discorsi, conferenze e prediche, ma anche per la possibilità che si
ha di ricostruire questa sua attività attraverso la stampa ebraica
dellʼepoca.
Al Tempio Colombo cominciò a predicare perlomeno dal 1898, come si
legge in una lettera di Benamozegh a lui indirizzata (19 settembre
1898, predica di shabbat thsuvà) nella lettera B. gli consiglia di
parlare per avvisare coloro che "si regolano a capriccio
proprio" nel decidere se siano o no dispensati dal digiuno.
Dopo la morte del maestro, la predica al tempio divenne uno dei suoi
compiti fissi. Non si trattava di un atto settimanale, bensì era
limitato alle feste: Rosh ha shanà, shabbat thesuvà, kippur,
pesach, shavuot. A shavuot il discorso era dato in occasione della
celebrazione annuale del bat mizwà, fino a che essa venne spostata
alla prima domenica di giugno, festa dello Statuto.
Vi
erano poi discorsi dati in occasioni speciali: matrimoni, funerali
(per tutti ricorderò il discorso in memoria di rav Costa), riunioni
di confraternite, feste comunitarie, come a tu bi shvat,
distribuzione dei premi nelle Scuole Israelitiche e anche quelli per
eventi straordinari: discorso in occasione del suo viaggio a
Pitigliano nel 1904, discorso dopo il fallito attentato a Vittorio
Emanuele III, il 14 marzo 1912, discorso in occasione del primo
anniversario della Dichiarazione Balfour, [Livorno] 2 novembre 1918,
discorsi da Presidente della Federazione Rabbinica Italiana 1919
Di
tipo diverso era lʼattività oratoria del sabato pomeriggio. Con
frequenza variabile, più o meno ogni due mesi, Colombo dava una
conferenza nella sala delle scuole sui temi più svariati. Dò
qualche esempio: Le donne nellʼebraismo.
Mosè o Zoroastro. : La
libera critica moderna (rassegna di
scritti recenti di critica biblica).
Babel und Bibel. (sulle conferenze del
professor Delitzsch sulle scoperte dell'Assiriologia che confermano
gli insegnamenti dell'Ebraismo).
Sionismo antico (scoprire in tutti gli
antichi testi biblici e tradizionali l'idea sionistica; il sionismo
antico come modello del nuovo); Il
pensiero religioso di Giuseppe Mazzini. Il Santo di Fogazzaro,
il tango
(sul ballo nell'ebraismo).
Fra
prediche al tempio, discorsi per occasioni diverse e conferenze,
ritengo che si possano stimare 350-400 orazioni date da Colombo dal
1891 al 1923. Non sappiamo ancora abbastanza sullʼattività oratoria
rabbinica nel Novecento, per valutare se Colombo in questo suo
intenso parlare fosse nella norma corrente o fuori di essa. Riporto,
come prima indicazione, solo due commenti, sempre dalla stampa
ebraica:
Sabato 31 dicembre 1910 venne inaugurata
lʼOrfanotrofio Israelitico di Livorno: nella cronaca sul Corriere
israelitico Adolfo Ottolenghi, alunno di Colombo, riportò non
mancarono i discorsi ... felicissimo ... il discorso dellʼecc.mo
Rabbino Colombo. Egli non lascia passare nessuna occasione sia essa
luttuosa o di gioia in cui non faccia sentire la sua parola sempre
ascoltatissima.
E
da Pisa, riferendo di una sua conferenza sulle preghiere, tenuta in
quel circolo di cultura nel 1916, scrisse Giulia Luzzatti: Con
grande gioia abbiamo veduto il ... rabbino maggiore di Livorno salire
su questa cattedra e lʼabbiamo udito parlare delle nostre preghiere.
Egli seppe farci vivere istanti di ebbrezza sacra e ci commosse
perchè aveva indovinato la via del nostro cuore.
Nel
1923 pubblicò la prima parte de La
coscienza di un popolo unʼagile sintesi dellʼessenza
dellʼebraismo, dei suoi principi fondamentali spiegati in modo
semplice a quel pubblico ebraico che era così importante e così
difficile tenere ancorato allʼebraismo. La seconda parte verrà
pubblicata postuma dal figlio Yoseph.
Perché
infatti quello stesso anno le sue condizioni di salute peggiorarono
e si recò
prima per riposo a Fiesole con la famiglia, poi venne ricoverato in
ospedale a Firenze. Alfredo Sabato Toaff, che era stato anche lui
suo allievo, andò a trovarlo prima delle feste: Mentre
stavo per congedarmi mi disse "La sera di Rosh Ha-shanà, al
Tempio, porta alla Comunità il mio saluto e la mia benedizione".
Giacomo Nahon, un altro suo allievo, ricordò così quel triste mese
di Elul del 1923, con rav Colombo ricoverato a Firenze, era
il mese delle selichot e in pochi altri anni a Livorno quelle
preghiere vennero enunciate con tanto fervore.
Colombo,
e cito ancora dalle memorie di Yoseph, mancò
alla Clinica Medica di Firenze il 7 settembre 1923, corrispondente al
26 Elul. Era venerdì
sera, pochi minuti prima dell’entrata di Sabato. Il funerale da
Firenze a Livorno, ove è
sepolto al Cimitero dei Lupi, avvenne la domenica successiva.
Nei
ricordi degli alunni, emerge l'immagine del Colombo studioso.
Lamberto Borghi, uno dei suoi ultimi alunni, scrisse: Uno
degli ultimi ricordi che mi restano di Lui è la sua immagine di
lettore concentrato su un testo greco di filosofia mentre attendeva
ai bagni Scoglio della Regina il suo turno per entrare nel reparto
termale. Era l'estate del 1922.
E
ancora: nell'ultimo anno … prima
della sua morte, egli si soffermò a lungo sul pensiero di Elia
Benamozegh … In
Colombo io ricordo il maestro che rompeva chiusure annose, si
sforzava di intendere e far intendere la cultura ebraica come una
forma particolare dellʼuniversale cultura umana.
E
infine ancora rav Toaff: Samuele
Colombo era la vera tempra dello studioso, ma dello studioso di
vedute larghe, come era convinto dovesse essere l'ebreo conscio della
divinità e perciò della superiorità della propria religione, che
nulla ha da temere dall'imporsi di nuove idee o dalla divulgazione di
nuove scoperte nel campo della scienza, della storia,
dell'archeologia. Tutte le manifestazioni del pensiero, le dottrine
più varie, le teorie più disparate, avevano in lui un giudice
spassionato e sereno, disposto sempre a riconoscere il buono e il
giusto dovunque si trovasse. Se anche in mezzo agli errori e ai
fuorviamenti altrui, gli fosse capitato di cogliere qualche sprazzo
dell'eterna verità, non mancava di notarlo e di compiacersene.
Simile anche in questo al suo e nostro grande Maestro Benamozegh che
leggeva avidamente giornali, riviste, libri, che si venivano
pubblicando pronto a ricopiarne nelle rubriche alfabetiche che teneva
sempre a portata di mano, i passi nei quali trovava conferma o
analogia con le idee che gli erano care e per le quali combatteva.
E Colombo aveva adottato anche lui lʼuso di
Benamozegh
Concludo.
Mi piace congedarmi con queste due immagini del Bisnonno: lo studioso
concentrato su un testo greco di filosofia mentre attendeva ai bagni
il suo turno per entrare nel reparto termale; lʼoratore
che seppe farci vivere istanti di
ebbrezza sacra e ci commosse perchè aveva indovinato la via del
nostro cuore.Grazie.