L'unico luogo di culto
e studio ebraico salvatosi dai bombardamenti che drammaticamente
colpirono Livorno negli ultimi anni dell'ultima guerra mondiale, come
noto a tanti ,è la “Yeshivà Marini”, anche conosciuta come “Oratorio
Marini”, oggi pure sede del Museo Ebraico di Livorno e sita in via
Micali 21 ( per visitarlo contattare Amaranta Servizi).
In alcune schede che
riguardano il luogo si legge che la palazzina neoclassica , sede del
museo inaugurato nel 1992, venne “ adattata ad accogliere il luogo
di culto nel 1867 “, mentre in altre la data viene
portata al 1843.
Immergendosi nella
stampa ebraica di quei tempi, però , ci si imbatte ad esempio nel
necrologio che il Rabbino Giuseppe Cammeo, zl , livornese che poi
ebbe incarichi in altre Comunità comprese Modena e Vercelli, dedica
al Rabbino David Ottolenghi, zl , ( “Il Vessillo Israelitico”,
anno 1887) , ricordando tra l'altro i “50 anni di ufficiature
volontarie “ da questi compiute “presso l'Oratorio Marini”,
informandoci quindi che già ben prima delle date in genere indicate,
forse con diversa denominazione, quello era un luogo di culto.
Il Rabbino Ottolenghi
tanto era affezionato all'allora Yeshivà di periferia, essendo
tutte le altre vicine allo storico Tempio Maggiore, che volle, come
annota Cammeo, esservi portato prima del funerale.
L'importanza di via
Micali per l'ebraismo livornese è altresì attestata da Umberto
Nahon,zl, mancato nel 1968 in Israele e “uomo ponte” con l'Italia
, il quale in un suo saggio ("Il Tempio di Livorno in un secolo
e mezzo di iconografia") , descrivendo la Livorno ebraica nella
quale aveva vissuto prima della guerra, annota : "Ancora ai miei
tempi, ricordo in Via Reale, all'angolo di Via Cairoli...la Jeshivà
del Rosso e in via Reale n.7, proprio in faccia al Tempio,le jeshivot
di Croccolo e del Popolo (fuse),in via Serristori la jeshivà di
Nunes Franco,ove andavamo a uscita di sabato,in via Dietro Scuola, la
jeshivà di Villareal,sotto al Tempio,la jeshivà di Baalè
Teshuvà.Nei quartieri nuovi ricordo solo la Jeshivà di Marini,ove
andavamo il pomeriggio di Rosh Hashanà per il Tashlich".
Al pozzo di via Micali
è infatti tradizione effettuare la cerimonia citata , nel pomeriggio
del primo giorno del Capodanno Ebraico (il secondo se il precedente fosse
di sabato) , nella quale si auspica che vengano “gettati”
simbolicamente i peccati commessi dalle persone.
Nel 1938, a rendere
ulteriormente importante il luogo, il complesso di via Micali
ospiterà, esperienza straordinaria dettata dalla drammaticità delle
cosiddette “legge razziali”, la scuola che la Comunità
costituirà per ospitare gli studenti ebrei espulsi dalla scuola
pubblica a seguito della legislazione razzista emanata dal fascismo.
Anche nel pieno della
guerra, dell'occupazione nazista e del primo dopoguerra, via Micali
sarà centrale, ospitando ebrei che dovettero lasciare la “zona
nera” che era stata creata in città e poi profughi ebrei ,
scampati anch'essi alla Shoà, in transito verso nuove destinazioni e
in seguito, oltre al Museo, ospiterà anche la scuola infantile
intitolata a Rav A.S.Toaff,zl.
Ma chi era Giacomo
Yakov Marini che ha dato il nome alla Yeshiva?
Prezioso è ancora Rav
Cammeo che, nell'aprile 1882 (“Il Vessillo Israelitico”) , dedica
un necrologio-biografia a Marini, nel suo stile sincero, assai
rispettoso ma schietto nel non eludere i fatti.
“Il 14 marzo u.s. la
morte che niuno risparmia , ci rapiva una cara esistenza,nella
persona del signor Giacomo Marini”, scrive Cammeo che poi prosegue
: “ Questo gentilhomo, onestissimo Cassiere della Confraternita
MOAR ABETULOT (maritar donzelle) si unì in matrimonio con una
cristiana , dalla quale ebbe un figlio che per ragioni di famiglia, o
per altri motivi che qui non vogliamo indagare, entrò nel grembo
della Chiesa Cattolica. Il povero Marini provò per questo fatto un
acerbo dolore al cuore , che non gli venne mai meno in tutta la sua
lunga esistenza! Il Marini però era religioso di convinzione, era
l'amico del povero e dell'afflitto. Fondò a sue spese un bellissimo
oratorio che tutt'ora conserva il suo nome, per quanto sia stato
ceduto alla Confraternita MALBIS HARUMIM (“vestire gli ignudi” .
Ndr). Era l'amico del povero , e chi scrive sa con certezza che
l'indigente israelita non si rivolgeva mai invano al banco del
Marini”.
Vero e proprio
Rabbino-giornalista (molte le sue corrispondenze anche di cronaca
rintracciabili sulla stampa ebraica del tempo) , Cammeo si avvia poi
a chiudere il necrologio dando riconoscimento al figlio di Marini di
aver voluto rigorosamente rispettare , per i funerali del padre, le
regole ebraiche :
“E per essere sempre
più sicuro che tutto procedesse regolarmente incaricò (il figlio
del Marini- ndr) l'eccellentissimo rab. cav. Israele Costa , ed il
signor farmacista Samuel Castelli, onde vigilassero alla direzione
delle funebri cerimonie. Venne fatta anche una distribuzione di pane
ai poveri israeliti”, chiosando infine : “Queste cose ho voluto
far noto pubblicamente, per far rilevare come i figli bennati,
educati, sappiano rispettare l'opinione dei loro genitori sia pur
contraria alla propria”.
Della generosità di
Giacomo Marini è testimone anche l'acrostico allegato a queste note
e che ho rinvenuto tra le carte di mio padre, Rav Bruno Ghereshon
Polacco,zl.
Sicuramente molto
ancora vi è da portare alla luce circa la storia di via Micali ma,
altrettanto sicuramente, già quanto sappiamo rafforza sempre più
l'importanza di questo luogo che, tra la fine della seconda guerra
mondiale sino al 1962, con l'inaugurazione della nuova Sinagoga,
ospitò l'unico luogo di preghiera per l'ebraismo livornese.
Ecco perchè conservarne le tradizioni, la conoscenza della storia e l'uso, sono
ancor più importanti, per parafrasare Cammeo, dobbiamo rispetto a
questa storia come dei figli ai propri genitori.
Gadi Polacco
P.S. Queste note sono
un cantiere aperto. Chi avesse annotazioni, notizie, ricordi,
documenti è ringraziato sin da ora per la messa a disposizione di
questo materiale.